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L'elisoccorso compie trent'anni, il racconto di un "veterano"

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Quando, nel 1987, è partito il servizio di Elisoccorso, lui c’era. E c’è ancora adesso che si festeggiano i trent’anni di quel servizio. Con sulle spalle migliaia di chilometri, volati a salvare vite. Perché la logica dell’elisoccorso, che in Romagna e più precisamente a Ravenna, ha spiccato il primo volo nel luglio 1987, è proprio questa: portare il medico il più velocemente possibile dove c’è bisogno di lui. Un giorno che il dottor Alberto Garelli, ravennate, medico rianimatore al “Santa Maria delle Croci”, ricorda molto bene.

“All’ora lavoravo a Faenza – racconta – e fui uno di quelli, provenienti da tutte le realtà rianimatorie della Romagna, che parteciparono. Eravamo tanti perché l’approccio era quello di far partecipare più medici possibile al fine di condividere pratica e conoscenze, mentre poi ci si è spostati sulla logica della specializzazione, con un numero minore di professionisti e operatori coinvolti: non puoi avere la necessaria practice se fai un volo ogni sei mesi”.

E oltre a questo cosa è cambiato da allora?

“Mah, sono stati fatti passi enormi, sia sui protocolli sia sulle macchine utilizzate. Noi, qui a Ravenna e a Bologna, siamo stati veri e propri pionieri. Nell’’87 la centrale operativa era nell’area in cui ora sorge il Dea ospedaliero, con un solo operatore. Adesso è una realtà all’avanguardia che coordina tutti i mezzi di soccorso della Romagna. Molto importante è stata l’introduzione dell’auto medicalizzata: prima il medico usciva sull’ambulanza e doveva rientrare in ospedale con quella prima di ripartire per un altro soccorso. Ora con l’auto il medico è libero, dopo aver stabilizzato il paziente, di spostarsi su un altro soccorso molto più celermente. Anche l’Elisoccorso segue questo principio e cioè portare il medico il più velocemente possibile dove è il paziente. Poi si valuta la situazione per capire se sia più appropriato spostare il paziente con l’elicottero stesso o con un’ambulanza. Non bisogna infatti dimenticare che l’elicottero può coprire grandi tratti in poco tempo e non è soggetto al traffico a terra, ma i tempi ‘prima’ e ‘dopo’ sono più lunghi per le variabili tecniche. Inoltre a bordo gli spazi sono più stretti e la logistica molto più difficoltosa: quando sale in elicottero il paziente deve essere più stabilizzato possibile”.

Come è composto l’equipaggio dell’elicottero?

“Ci sono il pilota e un infermiere coordinatore che formano l’unità sanitaria di volo e che tengono i contatti con la centrale operativa che: rappresentano la parte aeroautica dell’equipaggio; la parte sanitaria è rappresentata da un medico rianimatore e un infermiere con esperienza di rianimazione. All’inizio di ogni turno si fa un breefing sulla sicurezza sia a bordo sia a terra”.

E’ un mestiere pericoloso…

“Diciamo che bisogna sapere cosa fare anche da questo punto di vista”.

Poi?

“I nostri interventi si suddividono in primari, che sono quelli sul territorio, e secondari, cioè i trasferimenti da un ospedale all’altro, sempre per pazienti con patologie ‘tempo dipendenti’ (ad esempio uno stroke) e in maniera più limitata possibile per non distogliere mezzo ed equipaggio dal territorio. Lavoriamo in maniera integrata con gli altri tre elicotteri presenti in regione, che sono quelli di Bologna, Parma e Pavullo, dotato di verricello per gli interventi in montagna. Quando per motivazioni meteo l’elicottero non può essere utilizzato, il relativo equipaggio si sposta su un’ambulanza medicalizzata che si aggiunge a quelle già operative sul territorio”.

Intervenite soprattutto per traumi?

“Certo, i traumi sono tanti, ma in realtà sono di più gli interventi, sempre in urgenza, per patologia. L’esempio più classico è quello delle patologie cardiache per le quali la celerità d’intervento è molto importante”.

Per lei, come uomo oltre che come medico, cosa è cambiato in questi trent’anni?

“Beh all’inizio l’entusiasmo è alle stelle, come in tutte le cose della vita, che poi diventano routinarie. Però questo specifico lavoro ti assicura una scarica di adrenalina ogni volta che parti per una missione. Anche perché non sai mai quello che troverai…”.

In che senso?

“La centrale operativa quando attribuisce la missione comunica solo il codice patologia e la destinazione. Questo perché il pilota, e in generale tutto l’equipaggio, non devono essere condizionati da quanto troveranno per non compiere delle imprudenze. Pensi ad esempio, se si sapesse che il paziente è un bambino… Invece bisogna rimanere sempre lucidi, volare e atterrare in sicurezza, non mettere a repentaglio per primi se stessi. Inoltre, specialmente quando si tratta di sinistri, non sempre le informazioni che vengono trasmesse alla centrale operativa da chi chiama il 118, e che quindi arrivano a noi, sono corrette. Insomma ogni volta che atterri è una sorpresa. Per di più si lavora sabato, domenica, notte e feste comandate… E talvolta in condizioni estremamente disagiate, con caldo o freddo molto intensi, vento, pioggia, neve…”.

Più ricordi belli o ricordi brutti?

“Diciamo che i ricordi brutti si ricordano di più… Ti restano più impressi. E sono legati a traumi devastanti, in cui magari nonostante il massimo impegno non si è riusciti a salvare i pazienti… Se sono bambini ti metti nei panni dei genitori… I ricordi positivi, per contro, sono legati ai casi che hanno avuto buon esito”.

Ci sono pazienti che tornano a ringraziarvi?

“Questo succede più facilmente per medici e operatori che lavorano nei reparti: a noi il paziente a volte non ci vede neanche… Diciamo che nel nostro lavoro, e per come sono fatto io, mi è più facile sentirmi il ‘colpevole’ piuttosto che l’eroe della situazione. Comunque, in centrale operativa, qualche targa di ringraziamento c’è…”.

Nei suoi trent’anni di Elisoccorso quante ore di volo ha fatto?

“Difficile dirlo, facendo una stima, oltre quattromila”.

Che vuol dire circa sei mesi, su trent’anni, passati “per aria”. Mai pensato di lasciar perdere?

“No, mai… ”.

Della serie, trent’anni e non sentirli…

Ultima modifica il Giovedì, 01 Marzo 2018 13:46 Modificato da:
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